Come ar solito

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Breve premessa pe’ ignoranti e smemorati 

 che dopo tant’anni so’ ancora maritati.

Pe’ chi conosce la storia oppure l’ha scordata,

qui  je riassumo er fatto, prima de la cantata:

 

Astolfo, fedele compagno di Orlando, che vorrebbe restituire il senno al paladino, raggiunge la luna in groppa all’Ippogrifo, il favoloso cavallo alato, accompagnato e guidato da San Giovanni Evangelista. Qui giunto, Astolfo ha modo di osservare tutto ciò che vi è raccolto. Un campionario ricco e variegato di cose perdute sulla Terra. Non si tratta solo delle ricchezze e della gloria dei regni antichi. Ci sono anche le lacrime e i sospiri degli innamorati, il tempo perso dagli uomini e i loro progetti mai realizzati. Egli vede centinaia di ampolle che contengono il senno di altrettanti uomini: questo perché sulla Terra di saggi ne sono rimasti ben pochi. Qualcuno il senno lo perde in amore, in ricchezze, in onori, altri nelle speranze o nelle illusioni, altri ancora spendendo i propri soldi, altri approfittandosi dei fratelli o pagando indovini ed  astrologhi. Astolfo con sua grande sorpresa, oltre al senno dell’amico Orlando, vede un ampolla, che contiene quella piccolissima parte del suo senno, che non sapeva di aver perduto, e con l’assenso di San Giovanni Evangelista, ne annusa il contenuto e tutto a un tratto gli pare che ogni cosa  torni a posto. Astolfo visse per lungo tempo con molta saggezza, ma in seguito commise un errore che gli tolse nuovamente il senno…

 

La storia continua e pe’ fortuna

ancora nun so’ annato su la luna

E che me frega! E che me chiamo Orlando?

Povero Astorfo, che cazzo và cercando?

Er cavallo su la giostra nun c’è più…

Ma l’asino che vola… ce sei rimasto tu.

 

Il giorno 11 marzo del 2011 a Guardea, paesino sulla valle del Tevere, tenuta Roberta e Marco Rotondi, presenti moglie, figli, parenti, amici e cani, questi versi furono composti e declamati dall’autore: Paolo. La Fortuna in persona.

           

                              Come ar solito…

Nun te rigalo artro che ‘n pensiero

che  sciòrto su la carta, vale poco,

però carta, matita e ‘nchiostro nero,

so’ sempre bôni pe’ riaccenne er foco.

 

A sessant’anni vôi parlà d’amore?

E’ robba vecchia. Fatta pe’ quarcuno.

La maggioranza dice ch’è ‘n erore

perchè nissuno crede più a nissuno.

 

Grazià, che devo dì, forze sto male!

Si guardo ‘ndietro, ‘n ce capisco gnente,

ma tu lo sai che io nun so’ normale

si fai er confronto co’ tutta l’artra gente.

 

Seguì sortanto l’istinto de la spece,

in fonno poi, è la cosa più normale.

Problema grosso è sceje quella croce

che differenzia l’omo e l’animale.

 

La strada inizia sempre dar pisello

ma guai si passa ‘n mezzo, là ner core,

che prima d’arivà fino ar cervello

te magni gioia intinta ner dolore.

 

Io nu’ lo sò chi sei, perché, per come.

Io nu’ lo sò perché me so’ ‘mpicciato.

Io nu’ lo sò chi so’, quanno e per dove.

Quello che conta, è solo e’ risultato…

            

E come Astorfo è annato su la luna,

ecchime quà… e bacia ‘sta fortuna.

 

 

Abitudine umana celebrare ricorrenze. Qualcuno teme forse dimenticarle? Inutile provarci!                     Per il compleanno di mia moglie me la sono cavata con queste strofe.